Di fronte a interpretazioni e rappresentazioni che stanno creando una scorretta e parziale informazione tra gli operatori e gli utenti del Sistema Sanitario Nazionale, riteniamo opportuna una nota di chiarimento. Lo scopo è contribuire a ricomporre una più corretta percezione di quanto sta accadendo nell’organizzazione dei sistemi territoriali di emergenza in molte Regioni del nostro Paese.

A nostro avviso, l’equivoco principale da chiarire risiede nell’apparente affermazione di una intercambiabilità di ruolo tra medici e infermieri in deroga a quanto regolato dai rispettivi profili professionali.

Ci preme chiarire che la vicenda a cui si fa riferimento non modifica in nessun modo i ruoli e gli ambiti di azione delle due professioni ma costituisce un tentativo concreto di integrarne efficacemente le funzioni attorno al vero titolare di ogni diritto alla salute che è il paziente in pericolo di vita.

È bene sottolineare per i cittadini che non ne fossero a conoscenza che la stragrande maggioranza dei sistemi di emergenza territoriale, in Italia e nel mondo, non prevede la presenza di un medico a bordo delle ambulanze. All’estero la figura del medico in ambiente extraospedaliero è assai rara ma questo modello organizzativo, dove attentamente pianificato, non riduce di certo la qualità delle cure erogate ai pazienti. Se si prende ad esempio la gestione di una situazione estremamente grave qual è l’arresto cardiaco, appare chiaro come, in molti contesti organizzativi dove il medico non è presente sui mezzi di soccorso, i tassi di sopravvivenza registrati non sono di sicuro inferiori a quelli italiani. In una condizione simile, la qualità delle cure erogate non dipende dal ruolo e dalla professione del soccorritore ma dalle sue competenze, attentamente sviluppate e verificate.

Nella maggioranza dei servizi di emergenza territoriale delle Regioni italiane, il tipo di equipaggio da inviare per il soccorso viene selezionato di volta in volta dalla Centrale Operativa del 118/112 in base alle informazioni fornite dai chiamanti e raccolte dall’operatore. Tali informazioni vengono integrate da quelle raccolte direttamente sul luogo dai primi operatori sopraggiunti i quali vengono eventualmente supportati da mezzi e professionisti aggiuntivi proporzionati alle necessità ed alla disponibilità: in molti sistemi questo si traduce con l’invio di un auto medica con medico o un infermiere specializzato a bordo.

È intuitivo come, in caso di specifiche patologie acute che possono evolvere in modo estremamente rapido e in cui la tempestività del trattamento modifica radicalmente la prognosi, l’intervento del primo operatore che giunge accanto alla vittima possa risultare critico per la sua sopravvivenza.

Queste condizioni vengono definite appunto tempo-dipendenti e il loro trattamento principale è spesso costituito da manovre salvavita che possono comprendere la somministrazione di un farmaco specifico e cruciale. Esempi di queste condizioni sono: l’arresto cardiaco, l’ipoglicemia, l’intossicazione da benzodiazepine, l’overdose da oppiacei, l’anafilassi, la crisi convulsiva, l’infarto del miocardio. Pertanto, chi ha la responsabilità di garantirne una gestione efficiente dell’emergenza territoriale avendo come priorità la salute del paziente può scegliere un modello organizzativo che permetta l’esecuzione delle manovre salvavita nei tempi più brevi possibili. Questo modello organizzativo prevede la formazione specifica dei professionisti che sono a bordo dei mezzi di soccorso i quali, attraverso il rispetto di protocolli inequivocabili, la trasmissione di dati e il costante contatto con la centrale operativa, agiscono in tempi brevi per attuare gli interventi necessari alla gestione ed alla stabilizzazione di patologie altrimenti rapidamente evolutive.

Come a nostro avviso appare evidente al di là di ogni polemica, questo modello sposta la strategia del trattamento di queste condizioni dal ruolo dell’operatore alle sue competenze, nel rispetto delle singole professionalità che non risultano confuse ma integrate in un gioco di squadra che possa rispondere efficacemente alle necessità del cittadino. Tale tipo di organizzazione non si basa su rivendicazioni corporativistiche o prevaricazioni politiche ma su dati scientifici e sulla compatibilità con le risorse disponibili. In ogni caso, ribadiamo, si tratta di una scelta organizzativa che, nei limiti del contesto descritto, non intacca l’ambito della deontologia professionale.

Chiarito quanto sopra, riteniamo pertanto inopportuna, sproporzionata e provocatoria la misura disciplinare decisa dall’Ordine dei Medici di Bologna nei confronti di chi si è assunto la responsabilità organizzativa di una scelta strategica che caratterizza uno dei migliori sistemi di gestione dell’emergenza territoriale in Italia.

Confidiamo che le Istituzioni e la società civile, correttamente informata, possano ricomporre un dissidio che rischia di nuocere al tentativo di offrire la risposta più efficace, ragionevole e realistica ai cittadini in pericolo di vita.

 

Il Consiglio Direttivo IRC